giovedì 26 febbraio 2015

IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO: ATTENTI ALLA DECADENZA

Contrasto giurisprudenziale in tema di computo del termine di legge entro il quale a pena di decadenza il licenziamento illegittimo deve essere impugnato dal lavoratore.
 
Come noto, il lavoratore che intenda impugnare il licenziamento, prima deve farlo in via stragiudiziale, inviando, in sostanza una lettera al datore di lavoro, dopodiché, entro i successivi 180 giorni, a pena di decadenza, deve depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale competente.
Ma da quale data esattamente iniziano a decorrere i 180 giorni?
Dalla data di invio per raccomandata della lettera di impugnazione stragiudiziale?
Oppure dalla data in cui detta raccomandata è ricevuta dal datore di lavoro?
La questione è rilevantissima perché tra la spedizione e la consegna possono intercorrere anche diversi giorni e perché in gioco c'è addirittura la decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento.
Ebbene, secondo i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (cfr. ad esempio Cassazione civile Sezioni Unite 14.04.2010 n. 8830) parrebbe che la questione dovesse avere una facile risposta e che fra le due alternative debba essere preferita la seconda (data di ricezione della raccomandata) perché: "... le norme che dispongono decadenze debbono essere interpretate in senso favorevole al soggetto onerato...".
Ciononostante, nella giurisprudenza di merito, accanto a pronunce perfettamente in linea con tale principio (Tribunale di Roma sezione lavoro 15.04.2014; Tribunale di Firenze sezione lavoro ordinanza 24.02.2015), si rinvengono non poche pronunce di tenore opposto (Corte di Appello di Napoli sezione lavoro 11 marzo 2014 n. 2551; Tribunale di Milano sezione lavoro 25 marzo 2014 n. 993; Tribunale di Roma sezione lavoro ordinanza 28 maggio 2013; Tribunale di Torino sezione lavoro ordinanza 3 maggio 2014; Tribunale di Brescia sezione lavoro ordinanza 22 aprile 2014; Tribunale di Foggia sezione lavoro 18 febbraio 2014; Tribunale di Campobasso sezione lavoro 18 febbraio 2014).
Dunque, finchè  perdurrà tale incertezza giurisprudenziale, per scrupolo, sarà necessario conteggiare i 180 giorni dalla data di spedizione della raccomandata contenente la lettera di impugnazione stragiudiziale.
 
 
 
 
Per eventuali informazioni/chiarimenti potete contattare lo Studio Legale Casciano Guerrini tramite uno dei recapiti indicati sul sito: http://www.studiocascianoguerrini.it
 
 
 

mercoledì 18 febbraio 2015

INSULTI AL SUPERIORE: NO AL LICENZIAMENTO

Una recente pronuncia della Cassazione ha stabilito che il lavoratore che insulta il superiore non merita necessariamente il licenziamento in tronco.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2692/2015, ha confermato l'annullamento già disposto dalla Corte di Appello di Napoli della sanzione del licenziamento in tronco irrogata ad un lavoratore che, con voce alterata, aveva rivolto parole offensive e volgari nei confronti di un responsabile aziendale gerarchicamente sovraordinato.
Tale sanzione, infatti, è stata ritenuta sproporzionata in considerazione delle seguenti particolari circostanze:
- il lavoratore era in preda ad un attacco di ira determinato dalla convinzione di essere vittima di una maliziosa delazione;
- il lavoratore comunque ha continuato a lavorare;
- il lavoratore non ha mai contestato il potere gerarchico del responsabile aziendale.
 
 
 
Per eventuali informazioni e/o chiarimenti potete contattare lo Studio Casciano-Guerrini tramite uno dei recapiti indicati nel sito: http://www.studiocascianoguerrini.it

ORMEGGIO

Il punto sulla giurisprudenza in materia di ormeggio

Il contratto di ormeggio è un contratto atipico perché non risulta specificatamente disciplinato né dal codice civile, né dal codice della navigazione (quest'ultimo disciplina unicamente la professione di ormeggiatore), e, dunque, in merito alla disciplina  ad esso applicabile assume un ruolo centrale l'orientamento della giurisprudenza.
Quest'ultima è sostanzialmente concorde nel ritenere che il contenuto minimo-essenziale è rappresentato dalla semplice messa a disposizione in favore del diportista di una spazio acqueo delimitato e protetto, dietro corresponsione di un compenso.
Dunque, tale contratto, almeno nel suo contenuto minimo-essenziale, è certamente più simile alla locazione che non al deposito.
Tuttavia, nulla esclude che l'oggetto del contratto possa essere più ampio ed includere eventuali altre obbligazioni a carico dell'ormeggiatore quali, ad esempio: somministrazione di acqua corrente e/o elettricità, allacciamento telefonico, utilizzo di specifiche strutture come pontili o bitte, la custodia della imbarcazione e/o delle cose in essa contenute.
Benché il contratto sia a forma libera, e, dunque, ben possa ritenersi perfezionato non solo in forma orale, ma anche in modo implicito per facta concludentia, sarà onere del diportista richiedere la forma scritta al fine di precostituirsi la prova di eventuali obbligazioni aggiuntive (rispetto a quella minima ed essenziale) assunte dall'ormeggiatore.
Alcune pronunce, tuttavia, hanno precisato che l'assunzione da parte dell'ormeggiatore di obbligazioni aggiuntive non deve necessariamente essere provata mediante prova documentale, ben potendo desumersi dalle particolari circostanze:
- in un caso, è stato ritenuto che il piccolo cabotaggio dell'imbarcazione e l'assenza di uno stabile equipaggio a bordo siano di per sé elementi idonei a far presumere che il contratto di ormeggio includesse a carico dell'ormeggiatore un obbligo di custodia (Cass. civ. sez. III n. 10484 1 giugno 2004);
- in altro caso, è stato ritenuto che le assicurazioni pubblicitarie dell'impresa che offriva un ormeggio relative alla video sorveglianza delle imbarcazioni e alla presenza sulle banchine di personale armato contenesse una implicita assunzione dell'obbligo di custodia, con conseguente responsabilità in caso di furto dell'imbarcazione (Corte di Appello di Trieste 7 aprile 2009).
 
 
 
 
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