lunedì 21 settembre 2015

DIPENDENTE PUBBLICO: RESPONSABILITA' DELLE ANOMALIE INFORMATICHE

Quando la P.A. si avvale di una piattaforma informatica per lo svolgimento di un concorso e si verificano anomalie è responsabile anche il dipendente che, tempestivamente informato, non si sia adoperato per svolgere tutte le attività idonee a soddisfare le legittime pretese dell'utente.
 
 
"... osserva il Collegio come l'informatica costituisca sicuramente, per la Pubblica Amministrazione, uno strumento ormai doveroso ed imprescindibile, puntualmente disciplinato dall'ordinamento (d. lgs. 7 marzo 2005 n. 82 e relative norme attuative) al fine di raggiungere crescenti obiettivi di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa.
Sarebbe nondimeno gravemente errato vedere nel procedimento informatico una sorta di amministrazione parallela, che opera in piena indipendenza dai mezzi e dagli uomini, e che i dipendenti si devono limitare ad osservare con passiva rassegnazione (se non con il sollievo che può derivare dal discarico di responsabilità e decisioni): le risposte del sistema informatico sono invece oggettivamente imputabili all'Amministrazione, come plesso, e dunque alle persone che ne hanno la responsabilità.
Così, se lo strumento informatico determina situazioni anomale, vi è anzitutto una responsabilità di chi ha predisposto il funzionamento senza considerare tali conseguenze; ma v'è altresì la responsabilità, almeno omissiva, del dipendente che, tempestivamente informato, non si è adoperato per svolgere, secondo i principi di legalità ed imparzialità, tutte quelle attività che, in concreto, possano soddisfare le legittime pretese dell'istante, nel rispetto, comunque recessivo, delle procedure informatiche" (così TAR Trento 15.04.2015 n. 149).
 
 
 
Per eventuali ulteriori informazioni e/o chiarimenti potete contattare lo Studio Legale Casciano-Guerrini tramite uno dei recapiti indicati nel sito: http://studiocascianoguerrini.it
 
 

RESPONSABILITA' DEL MEDICO DI BORDO SULLE NAVI DA CROCIERA

Generalmente l'assistenza sanitaria a bordo delle navi da crociera non costituisce uno dei servizi inclusi nel pacchetto turistico ed i medici di bordo non sono lavoratori alle dipendenze della Compagnia di navigazione. Ne deriva: 1) che le spese relative all'eventuale assistenza sanitaria prestata a bordo non sono ricomprese nel prezzo di acquisto della crociera (e possono essere anche piuttosto elevate); 2) che non è agevole estendere la responsabilità per colpa medica, oltre che al/ai medici direttamente interessati, anche nei confronti della Compagnia di Navigazione
 
Con riferimento a quest'ultimo profilo, tuttavia, non è da escludere in radice la possibilità di estendere la responsabilità per la malpractice medica anche alla Compagnia di Navigazione.
Occorre, infatti, considerare:
1- che l'art. 2049 del codice civile (il quale dispone letteralmente che "i padroni e committenti" rispondono del danno cagionato dal fatto illecito dei loro "domestici e commessi nell'esercizio delle mansioni cui sono adibiti") è applicato dalla giurisprudenza anche in casi non strettamente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato;
2 - secondo certa giurisprudenza risponde in via contrattuale verso il malato anche il soggetto che ha approntato ed organizzato la struttura sanitaria che lo ha accolto.
 
 
 
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FESTIVITA' INFRASETTIMANALI: UN DIRITTO DEL LAVORATORE

I lavoratori dipendenti hanno diritto di astenersi da lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose. Nessuna norma di un contratto collettivo può derogare/eliminare tale diritto. Solo il lavoratore può rinunciarvi in accordo con il datore di lavoro.
 
Con una recente pronuncia (sent. n. 16592/2015) la Cassazione ha ribadito l'orientamento già espresso (sent. n. 4435/2004, n. 9176/1997, n. 5712/1986) secondo il quale:
-  i lavoratori dipendenti hanno "il diritto soggettivo di astenersi da lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose";
- non si tratta di un "diritto disponibile per le organizzazioni sindacali";
- "la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali non è rimessa né alla volontà esclusiva del datore di lavoro, né a quella del lavoratore, ma al loro accordo".
Conseguentemente, in base al medesimo orientamento:
"il provvedimento del datore di lavoro, in difetto di un consenso del lavoratore a prestare la propria attività nella festività infrasettimanale, determina la nullità dello stesso ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro con la conseguenza che la mancata ottemperanza allo stesso provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di una eccezione di inadempimento sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti ...".
 
 
 
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giovedì 26 febbraio 2015

IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO: ATTENTI ALLA DECADENZA

Contrasto giurisprudenziale in tema di computo del termine di legge entro il quale a pena di decadenza il licenziamento illegittimo deve essere impugnato dal lavoratore.
 
Come noto, il lavoratore che intenda impugnare il licenziamento, prima deve farlo in via stragiudiziale, inviando, in sostanza una lettera al datore di lavoro, dopodiché, entro i successivi 180 giorni, a pena di decadenza, deve depositare il ricorso nella cancelleria del Tribunale competente.
Ma da quale data esattamente iniziano a decorrere i 180 giorni?
Dalla data di invio per raccomandata della lettera di impugnazione stragiudiziale?
Oppure dalla data in cui detta raccomandata è ricevuta dal datore di lavoro?
La questione è rilevantissima perché tra la spedizione e la consegna possono intercorrere anche diversi giorni e perché in gioco c'è addirittura la decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento.
Ebbene, secondo i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (cfr. ad esempio Cassazione civile Sezioni Unite 14.04.2010 n. 8830) parrebbe che la questione dovesse avere una facile risposta e che fra le due alternative debba essere preferita la seconda (data di ricezione della raccomandata) perché: "... le norme che dispongono decadenze debbono essere interpretate in senso favorevole al soggetto onerato...".
Ciononostante, nella giurisprudenza di merito, accanto a pronunce perfettamente in linea con tale principio (Tribunale di Roma sezione lavoro 15.04.2014; Tribunale di Firenze sezione lavoro ordinanza 24.02.2015), si rinvengono non poche pronunce di tenore opposto (Corte di Appello di Napoli sezione lavoro 11 marzo 2014 n. 2551; Tribunale di Milano sezione lavoro 25 marzo 2014 n. 993; Tribunale di Roma sezione lavoro ordinanza 28 maggio 2013; Tribunale di Torino sezione lavoro ordinanza 3 maggio 2014; Tribunale di Brescia sezione lavoro ordinanza 22 aprile 2014; Tribunale di Foggia sezione lavoro 18 febbraio 2014; Tribunale di Campobasso sezione lavoro 18 febbraio 2014).
Dunque, finchè  perdurrà tale incertezza giurisprudenziale, per scrupolo, sarà necessario conteggiare i 180 giorni dalla data di spedizione della raccomandata contenente la lettera di impugnazione stragiudiziale.
 
 
 
 
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mercoledì 18 febbraio 2015

INSULTI AL SUPERIORE: NO AL LICENZIAMENTO

Una recente pronuncia della Cassazione ha stabilito che il lavoratore che insulta il superiore non merita necessariamente il licenziamento in tronco.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2692/2015, ha confermato l'annullamento già disposto dalla Corte di Appello di Napoli della sanzione del licenziamento in tronco irrogata ad un lavoratore che, con voce alterata, aveva rivolto parole offensive e volgari nei confronti di un responsabile aziendale gerarchicamente sovraordinato.
Tale sanzione, infatti, è stata ritenuta sproporzionata in considerazione delle seguenti particolari circostanze:
- il lavoratore era in preda ad un attacco di ira determinato dalla convinzione di essere vittima di una maliziosa delazione;
- il lavoratore comunque ha continuato a lavorare;
- il lavoratore non ha mai contestato il potere gerarchico del responsabile aziendale.
 
 
 
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ORMEGGIO

Il punto sulla giurisprudenza in materia di ormeggio

Il contratto di ormeggio è un contratto atipico perché non risulta specificatamente disciplinato né dal codice civile, né dal codice della navigazione (quest'ultimo disciplina unicamente la professione di ormeggiatore), e, dunque, in merito alla disciplina  ad esso applicabile assume un ruolo centrale l'orientamento della giurisprudenza.
Quest'ultima è sostanzialmente concorde nel ritenere che il contenuto minimo-essenziale è rappresentato dalla semplice messa a disposizione in favore del diportista di una spazio acqueo delimitato e protetto, dietro corresponsione di un compenso.
Dunque, tale contratto, almeno nel suo contenuto minimo-essenziale, è certamente più simile alla locazione che non al deposito.
Tuttavia, nulla esclude che l'oggetto del contratto possa essere più ampio ed includere eventuali altre obbligazioni a carico dell'ormeggiatore quali, ad esempio: somministrazione di acqua corrente e/o elettricità, allacciamento telefonico, utilizzo di specifiche strutture come pontili o bitte, la custodia della imbarcazione e/o delle cose in essa contenute.
Benché il contratto sia a forma libera, e, dunque, ben possa ritenersi perfezionato non solo in forma orale, ma anche in modo implicito per facta concludentia, sarà onere del diportista richiedere la forma scritta al fine di precostituirsi la prova di eventuali obbligazioni aggiuntive (rispetto a quella minima ed essenziale) assunte dall'ormeggiatore.
Alcune pronunce, tuttavia, hanno precisato che l'assunzione da parte dell'ormeggiatore di obbligazioni aggiuntive non deve necessariamente essere provata mediante prova documentale, ben potendo desumersi dalle particolari circostanze:
- in un caso, è stato ritenuto che il piccolo cabotaggio dell'imbarcazione e l'assenza di uno stabile equipaggio a bordo siano di per sé elementi idonei a far presumere che il contratto di ormeggio includesse a carico dell'ormeggiatore un obbligo di custodia (Cass. civ. sez. III n. 10484 1 giugno 2004);
- in altro caso, è stato ritenuto che le assicurazioni pubblicitarie dell'impresa che offriva un ormeggio relative alla video sorveglianza delle imbarcazioni e alla presenza sulle banchine di personale armato contenesse una implicita assunzione dell'obbligo di custodia, con conseguente responsabilità in caso di furto dell'imbarcazione (Corte di Appello di Trieste 7 aprile 2009).
 
 
 
 
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giovedì 8 gennaio 2015

ABUSO PRECARIATO NELLA P.A.: CONDANNA DELLA CASSAZIONE

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione condanna l'abuso del precariato nella pubblica amministrazione.


Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. n. 27363 del 23.12.2014) condanna l'abuso del precariato nella pubblica amministrazione, ancorché in un obiter dictum.
Questo il passaggio che assume rilevanza:
"...deve in ogni caso ribadirsi che la Corte di Giustizia Europea (ordinanza Papalia C-50/13 e sentenza Carratù C-361/12) ha chiarito che l'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/20/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo da parte di un datore di lavoro pubblico di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (pur legittimi), preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione.
Spetta al giudice nazionale valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, ad una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi rendendo effettiva la conversione dei contratti di lavoro da determinato ad indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico, dopo trentasei mesi anche non continuativi di servizio precario, in applicazione dell'art. 5 comma 4 bis d. lgs. 368/2001".
 
 
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