giovedì 28 febbraio 2013

GUIDE TURISTICHE: LE PRESTAZIONI OCCASIONALI SONO LIBERE

Per fare occasionalmente la guida turistica non occorre il previo assolvimento di nessuno degli adempimenti di carattere amministrativo che, invece, sono necessari per lo svolgimento di tale professione in modo stabile.

Con sentenza n. 13733 del 31 luglio 2012 la Corte di Cassazione ha affermato che le normative regionali che subordinano l'esercizio dell'attività di guida turistica all'assolvimento di alcuni adempimenti di carattere amministrativo (denuncia inizio attività - elezione di un domicilio all'interno della Regione interessata) valgono solo per lo svolgimento in modo stabile e, dunque non meramente occasionale, di tale professione.
Il caso su cui la Corte si è pronunciata è stato il seguente: nell'estate del 2004 il Comune di Firenze ha irrogato una sanzione di oltre 1.000 euro ad una guida tedesca che accompagnava un gruppo di turisti connazionali in giro per il centro della città, per non aver previamente adempiuto alle prescizioni contenute nella legge regionale  42/2000.
A seguito della opposizione presentata dalla guida tedesca il Tribunale ha in prima battuta confermato la sanzione.
Poi, però, la Cassazione ha accolto l'opposizione anche se non per le doglianze rappresentate dal cittadino tedesco (ovvero per asserita violazione dei principi comunitari), bensì, come anticipato, per il carattere meramente occasionale della prestazione.

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MANCATA PROVA MOBBING: RICONOSCIUTO COMUNQUE RISARCIMENTO

Nel caso in cui il Giudice ritenga non provata la fattispecie di mobbing lamentata dal ricorrente, quest'ultimo può vedersi comunque riconosciuto un risarcimento


Secondo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione perchè sussista una fattispecie di mobbing nei confronti di un lavoratore occorre che sussistano i seguenti elementi:
1 - una molteplicità di comportamenti di carattere vessatorio;
2 - l'evento lesivo della salute o della personalità del lavoratore;
3 - il nesso causale tra le vessazioni ed il pregiudizio alla salute o alla personalità;
4 - la prova della riconducibilità di tutte le vessazioni al medesimo intento persecutorio.
Quest'ultima prova, com'è facilmente intuibile, è senz'altro la più difficile da assolvere in giudizio, e la maggior parte dei ricorsi per mobbing che non trovano accoglimento sono respinti proprio per ravvisata insufficienza della prova di quest'ultimo elemento.
Ecco, quindi, che assume una enorme rilevanza una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 18927 del 5 novembre 2012) che ha affemato il seguente principio di diritto:
"Nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura assertamente vessatoria, il Giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi della configurabilità del mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri - pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne".

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MOBBING: COME PROVARLO

La prova del mobbing può essere data anche mediante riproduzioni fonografiche (e quindi, ad esempio, mediante la registrazione audio su qualunque supporto delle affermazioni provenienti dal soggetto vessatore, evidentemente a sua insaputa)

Secondo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione perchè sussista una fattispecie di mobbing nei confronti di un lavoratore occorre che sussistano i seguenti elementi:
1 - una molteplicità di comportamenti di carattere vessatorio;
2 - l'evento lesivo della salute o della personalità del lavoratore;
3 - il nesso causale tra le vessazioni ed il pregiudizio alla salute o alla personalità;
4 - la riconducibilità di tutte le vessazioni al medesimo intento persecutorio.
La prova in giudizio di tutti questi elementi è tutt'altro che agevole (anche perchè è difficile che i colleghi accettino di rendere testimonianza su quello che sanno), e grava interamente sul lavoratore che decide di agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Sempre più spesso, allora, il lavoratore ricorre a registrazioni fonografiche, ovvero, in parole povere, a registrazioni audio delle affermazioni vessatorie che gli sono rivolte sul luogo di lavoro. Realizzate, ovviamente, in modo occulto, cioè all'insaputa del soggetto che pone in essere le vessazioni.
E la giurisprudenza ha più volte ritenuto ammissibile questo mezzo di prova.
Anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 10430/2007 che, in particolare, ha osservato che l'eventuale disconoscimento ad opera della controparte delle affermazioni registrate non impedisce comunque al giudice di trarre in via presuntiva argomenti di giudizio.


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mercoledì 27 febbraio 2013

RETRIBUZIONE STRAORDINARIO MEDICI: QUANDO SPETTA?

Ai dirigenti medici la retribuzione delle ore di lavoro straordinario, salvo limitate eccezioni, non spetta. Questo secondo l'orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente. E' tuttavia attesa sulla questione una pronuncia della Corte di Cassazione che potrebbe esprimersi diversamente.


Sulla questione della retribuzione del lavoro  prestato dai dirigenti medici in eccedenza rispetto al normale orario di lavoro (38 ore settimanali) lo stato della giurisprudenza è, in sostanza, il seguente:
1 - sussiste il diritto alla retribuzione "nel caso in cui la durata della prestazione lavorativa ecceda i limiti della ragionevolezza in rapporto alla tutela, costituzionalmente garantita, del diritto alla salute" (Cass. Sez. Unite n. 9146/2009);
2 - sussiste il diritto alla retribuzione anche quando l'eccedenza oraria deriva dallo svolgimento di servizi di guardia o di pronta disponibilità perchè con riferimento a questi specifici casi la contrattazione collettiva  lo prevede espressamente (Trib. Firenze sez. lavoro n. 57/2013);
3 - al di fuori dei suddetti casi, per regola generale, non sussiste alcun diritto alla retribuzione dello straordinario atteso che "la retribuzione di risultato viene a compensare l'eventuale straordinario prestato" e, quindi, in ragione del principio di "omnicomprensività del trattamento globale attribuito al dirigente rispetto ai vincoli di orario pur attribuiti dalla contrattazione di settore" (Corte di Appello di Firenze Sez. lavoro  12 gennaio 2010).
Si deve tuttavia considerare che quest'ultima pronuncia della Corte di Appello di Firenze contrasta con la decisione assunta dal Giudice di primo grado sulla medesima vicenda (il Giudice del Lavoro di Firenze, infatti, aveva precedentemente riconosciuto il diritto del medico alla retribuzione delle 1586 ore di straordinario accumulate prima di andare in pensione), ma, soprattutto, che il medesimo caso è stato rimesso al giudizio della Corte di Cassazione
Si resta, pertanto, in attesa che quest'ultima si prnunci sulla questione.




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mercoledì 20 febbraio 2013

SANITA' PRIVATA: MEDICI, PROVA DELLA SUBORDINAZIONE

Rapporto di lavoro dei medici all'interno di cliniche private: quando il rapporto deve ritenersi subordinato anzichè autonomo ?

La natura subordinata anzichè autonoma di qualsiasi rapporto di lavoro,  in base ad un principio di diritto assolutamente pacifico, non dipende dalla qualificazione formale che ne è data dal contratto bensì dal concreto atteggiarsi del rapporto.
E, quindi, chiunque ritenga di essere di fatto un lavoratore subordinato, nonostante formalmente sia qualificato come lavoratore autonomo, può dimostrare in giudizio l'effettiva natura della propria posizione lavorativa e conseguire il relativo trattamento economico-giuridico (generalmente più favorevole anche sotto il profilo previdenziale).
Ma quali sono in concreto gli elementi di fatto che, ove dimostrati in giudizio, consentono di conseguire l'accertamento della subordinazione?
Con particolare riferimento alla professione medica esercitata all'interno di strutture sanitarie private la giurisprudenza è divisa: parte di essa (cfr. Cass. n. 10043/2004; Cass. n. 13858/2009) ritiene sufficiente che sia  provata l'effettiva soggezione ad un potere organizzativo (e, quindi, è stato ritenuto subordinato il rapporto di medici all'interno di cliniche private per il solo fatto che erano inseriti in turni di servizio predisposti autoritativamente dallle cliniche stesse e che la fruizione delle ferie era subordinata alla pianificazione aziendale); altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene che ciò non basti e che sia necessario accertare l'esercizio da parte delle amministrazioni delle cliniche di un potere conformativo sul contenuto della prestazione medica e, quindi, in altri termini, il carattere interamente predeterminato, da parte della direzione sanitaria, del contenuto delle prestazioni materialmente poste in essere dai medici (cfr. Cass. n. 14573/2012; Cass. n. 3471/2003).


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venerdì 8 febbraio 2013

CONTRATTO DI VIAGGIO: QUANDO DEVE RITENERSI CONCLUSO?

L'acquisto di un viaggio organizzato è stato ritenuto concluso al momento in cui è giunta presso l'agenzia di viaggi la richiesta di "prenotazione" inoltrata via e-mail dal tutista-consumatore.

Costituiscono dati di comune esperienza per gli operatori del settore:
- che spesso alle agenzie di viaggi le richieste di prenotazione di un viaggio organizzato da un tour operator giungono tramite e-mail;
- e che, tuttavia, altrettanto frequentemente nelle condizioni generali di vendita riportate nei cataloghi dei tour operators è espressamente previsto che la prenotazione debba essere redatta su apposito modulo contrattuale, e che il contratto di compravendita si intende perfezionato solo nel momento in cui presso l'agenzia di viaggi giunge l'accettazione della prenotazione da parte dell'organizzatore del viaggio.
Come si coniuga il primo dato con il secondo?
Una risposta è stata data dalla Corte di Appello di Firenze (sentenza pubblicata in data 16.02.2012, confermativa della sentenza del Tribunale di Firenze n. 1378/2006) che è stata chiamata a pronunciarsi sul seguente specifico caso: una signora si è recata presso una nota agenzia di viaggi di Firenze ed ha preso visione ed informazioni su un catalogo di viaggi organizzati da altrettanto noto tour operator; il catalogo in questione riportava le condizioni generali le quali contenevano la tipica clausola di cui si è detto; successivamente la signora invia una e-mail alla agenzia con cui chiede di "voler provvedere  a suo nome ad effettuare la prenotazione" del viaggio scelto sul catalogo; l'agenzia di viaggi dopo aver informato la signora, sempre via e-mail, della penalità da pagare in caso di disdetta successiva alla prenotazione, procede ad effettuare la prenotazione richiesta; pochi giorni prima della data prevista per la partenza la signora comunica di non poter più partire per motivi personali; l'agenzia si trova dunque costretta ad anticipare la penale al tour operator, dopodichè fa causa alla signora per avere la restituzione di tale importo.
Ebbene, il Tribunale prima, e la Corte di appello poi, hanno ritenuto che l'agenzia avesse il pieno diritto alla restituzione da parte della signora della somma corrisposta al tour operator a titolo di penale perchè doveva ritenersi che le parti avessero voluto derogare a quanto previsto nelle condizioni generali di vendita in ordine alle modalità di perfezionamento del contratto.
Dunque, secondo le pronunce richiamate, perchè si perfezioni un contratto di compravendita di un viaggio è sufficiente che giunga presso l'agenzia di viaggi una richiesta anche via e-mail, e ciò anche nel caso in cui le condizioni generali di vendita pubblicizzate dal tour operator dispongano ben altre formalità.

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martedì 5 febbraio 2013

RISARCIMENTO DANNO DA VACANZA ROVINATA: NON OCCORRE PROVA

Risarcimento danni da vacanza rovinata:  non occorre darne prova in giudizio, ma il danno non deve essere minimo (mero disagio o fastidio)

Con una recente pronuncia la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di risarcimento del danno da vacanza rovinata.
La sentenza cui si compie riferimento è la n. 7256 dell'11 maggio 2012.
La Suprema Corte, innanzitutto, ribadisce che il cosiddetto "danno da vacanza rovinata" consiste nel "pregiudizio conseguente alla lesione dell'interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo".
Dopodichè, per quanto più rileva, enuncia i seguenti principio di diritto:
1 - tale danno per essere risarcibile deve superare "una soglia minima di tollerabilità":
"la richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali per disagi e fastidi da qualificarsi minimi, avuto presente la causa in concreto del contratto, contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e di contemperamento dei contrapposti interessi contrattualmente pattuiti, e costituirebbe un abuso, in danno del debitore, della tutela accordata al consumatore/creditore";
2 - ma, per conseguire il risarcimento non è necessario darne specifica prova in giudizio:
"... peculiarità del contratto di pacchetto turistico, la cui causa è connotata dall'esclusivo perseguimento di interessi non patrimoniali, al contrario della generalità dei contratti nei quali gli interessi non patrimoniali possono solo essere inseriti ...
Ne consegue che, in tema di danno non patrimoniale "da vacanza rovinata" inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell'inadempimento esaurisce in sè la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell'attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della "finaità turistica" (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero".


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RISARCIMENTO DANNO DA VACANZA ROVINATA PER GRAVE RITARDO AEREO

Risarcimento del danno da vacanza rovinata e mero ritardo aereo, dove sta il confine?

Segnalo un caso interessante in cui il risarcimento del danno da vacanza rovinata è stato riconosciuto in ragione dello slittamento di due giorni del volo aereo di ritorno.
La vicenda è stata la seguente: una famiglia ha acquistato presso una agenzia di viaggi un pacchetto turistico comprensivo di soggiorno di una settimana alle Mauritius e di volo aereo andata/ritorno; il volo di ritorno viene programmato per il 31 dicembre 2007 con arrivo a Roma Fiumicino; per la stessa data è prenotata una cena presso un ristorante romano al fine di festeggiare con amici la sera dell'ultimo dell'anno; per un asserito guasto aereo il rientro viene posticipato al 1 gennaio 2008 con arrivo a Fiumicino il 2 gennaio alle ore 12,35.
Ebbene, con riferimento al caso di specie, il Tribunale di Grosseto, con sentenza n. 686 del 19 giugno 2012, ha ritenuto che il ritardo aereo fosse talmente grave da generare il diritto all'integrale risarcimento del danno non patrimoniale conseguentemente patito:
"... nella fattispecie il ritardo aereo di quasi due giorni, va indubbiamente a toccare aspetti della personalità tali da incidere sulla stessa integrità psico-fisica costituzionalmente tutelata. In tale prospettiva va considerato il diritto di chi sia costretto a trascorrere, senza preavviso alcuno, la sera dell'ultimo dell'anno ed il primo giorno dell'anno tra attese in aereoporto e albergo di fortuna.
Data la peculiarità del periodo dell'anno ed il prolungamento del ritardo per quasi due giorni, nella fattispecie non si è infatti trattato di un mero ritardo o contrattempo di voli e scali, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto essendo da ritenersi il pregiudizio subito non futile e superato il livello di tollerabilità imposto dalla compagine della convivenza sociale".


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