giovedì 28 febbraio 2013

MANCATA PROVA MOBBING: RICONOSCIUTO COMUNQUE RISARCIMENTO

Nel caso in cui il Giudice ritenga non provata la fattispecie di mobbing lamentata dal ricorrente, quest'ultimo può vedersi comunque riconosciuto un risarcimento


Secondo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione perchè sussista una fattispecie di mobbing nei confronti di un lavoratore occorre che sussistano i seguenti elementi:
1 - una molteplicità di comportamenti di carattere vessatorio;
2 - l'evento lesivo della salute o della personalità del lavoratore;
3 - il nesso causale tra le vessazioni ed il pregiudizio alla salute o alla personalità;
4 - la prova della riconducibilità di tutte le vessazioni al medesimo intento persecutorio.
Quest'ultima prova, com'è facilmente intuibile, è senz'altro la più difficile da assolvere in giudizio, e la maggior parte dei ricorsi per mobbing che non trovano accoglimento sono respinti proprio per ravvisata insufficienza della prova di quest'ultimo elemento.
Ecco, quindi, che assume una enorme rilevanza una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 18927 del 5 novembre 2012) che ha affemato il seguente principio di diritto:
"Nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura assertamente vessatoria, il Giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi della configurabilità del mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri - pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne".

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